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28 Ottobre 2021

bilico vitale

Tratturo Regio Castel di Sangro – Lucera: da Castel di Sangro (41.78449, 14.10782) a Forlì del Sannio (41.69541, 14.18037)

Lunghezza del percorso km 23; guadagno/perdita in elevazione 815 / – 1.010 metri; quota massima: 1.085 metri, quota minima 617 metri.

Centri attraversati: Montalto

Pernotto: Hotel Corradetti – Castel di Sangro (0864 845930) / Casa Jolanda – Forlì del Sannio (347 588 5844)

15 ottobre. Da tempo mi promettevo di ripercorrere il cammino dei pastori dai pascoli alti abruzzesi al Tavoliere in questo periodo di inizio autunno quando scendevano con le loro “morre“. Ho deciso di fare questo viaggio seguendo il più fedelmente possibile il tracciato di uno dei grandi tratturi del passato, il Castel di Sangro-Lucera. Mi spinge un interesse non solo storico-documentale (ripercorrere e documentare l’esatto tracciato del tratturo), ma anche – per così dire – esistenziale, nel senso di entrare più profondamente in sintonia con le vite dei pastori transumanti provando le loro emozioni, ansie, paure, speranze favorite da un cammino così lungo. Sarà interessante anche la visita di quei borghi che lambiscono il Tratturo, la cui storia è legata a doppio filo alla via delle pecore.

La partenza da Castel di Sangro è accompagnata da una perturbazione artica che sta interessando da alcuni giorni le regioni centro-meridionali. Il vento freddo che amplifica la percezione della bassa temperatura produce un effetto anestetizzante che favorisce una condizione di quasi straniamento mentre cammino.

Dopo 5 km attraverso piccole stradine asfaltate giungo a quella che era la Taverna della Zittola (oggi definito casone di Vallesalice), luogo di incontro e ristoro dei pastori che si dirigevano verso il Tavoliere. Dalla Taverna, che si trova sul Tratturo Pescasseroli-Candela, parte il Tratturo che io percorrerò sino a Lucera.

Il Tratturo che originariamente si presentava come una fascia erbosa larga varie decine di metri, in questo tratto iniziale è ridotto ad un sentiero largo poco più di 4-5 metri che procede verso est; oltrepassata la strada statale Fondo valle Sangro attraverso un sottopasso, il tracciato sale riducendosi in alcuni tratti a poco più di un sentierino su terreno argilloso all’interno di un boschetto.

Incrocio la strada vicinale Prato dell’Olmo – costruita in parte sul tracciato tratturale – e l’abbandono dopo alcune centinaia di metri per dirigermi verso Montalto seguendo dei piccoli sentieri nel bosco Frainone spesso intasati dalla vegetazione. Dopo Montalto – in territorio molisano – il Tratturo diventa una comoda strada brecciata che prosegue per alcuni km in falsopiano, diventando, poi, un sentiero in saliscendi di alcuni km attraverso un bosco ai cui lati saltuariamente si aprono delle spaziose radure.

In località Canonica abbandono il Tratturo per dirigermi – prima attraverso un bel sentiero in un bosco e poi con stradine asfaltate – a Forlì del Sannio.

La vita del pastore transumante tra abbandono della protezione della casa ed esposizione alla natura nel cammino, rappresenta una interessante metafora della vita. Desidera il ritorno a casa e sogna la consolazione dei piaceri domestici ma non riesce a rinunciare al tratturo quasi che non sapesse vivere stabilmente tra le quattro mura. Qualcosa ci spinge ad uscire, ad esporci, ad affrontare il rischio anche se sempre accompagnati dal pensiero del ritorno a “casa”, il luogo del riparo e della sicurezza.

Sembra che la nostra natura sia sottoposta alla ricerca costante di un precario equilibrio tra apertura e chiusura. Quando ci apriamo sogniamo la chiusura (anzi è il pensiero della chiusura che ci permette di vivere l’apertura); quando ci chiudiamo sogniamo l’apertura (anzi è il pensiero dell’apertura che ci permette di vivere la chiusura). Un continuo equilibrio tra opposti (o diversi): nella misura in cui si mantiene viva l’instabilità, noi continuiamo a vivere. Diceva Nietzsche che l’uomo è un essere non stabilizzato.

Il cielo basso, plumbeo, chiuso nel giro avvicinato dell’orizzonte. Gli uomini lo scrutano in continuazione nella speranza, nell’attesa di una schiarita e intanto pensano alle case. Rocco della Civitella ne ha una nuova; vorrebbe finirla con quella vita vagabonda, selvaggia che ti fa scordare come si vive in mezzo agli uomini, nei paesi, nelle case. Solitudine.  Animali.  Silenzio. E’ stato una settimana con la moglie; quando è tornato agli stazzi, sazio e contento, ha ripetuto che non intende più andare appresso alle pecore: ‘Con un altro anno di lavoro mi levo l’ultimo debito e me ne sto a casa mia’. Cola, il massaro, lo ha guardato negli occhi per fargli intendere il suo consenso, poi ha detto: ‘Sono certo però che non resisterai a star chiuso fra quattro mura per tutta la vita. Quando uno ha fatto il tratturo non sa più camminare sulle altre strade’. Anche Carluccio pensa alla casa sua ma senza nostalgie; non ricorda un giorno tranquillo lì dentro: fratelli, sorelle, cognati non fanno che litigare; ‘Ti dico Cola, che non ci resisto. In certi momenti me ne andavo nella stalla e mi veniva da piangere per la rabbia e certe altre volte mi calava una benda sugli occhi, mi mettevo a gridare, afferravo ciò che mi capitava sottomano e spaccavo tutto.E’ il tempo cattivo che mette la nostalgia nell’animo di tutti; si pensa e si parla della casa specialmente quando diluvia come sta facendo ora. Cola ci ritorna ogni tanto a casa ma non ci rimane mai volentieri: egli è nato per stare all’aperto, a contatto con la natura, quella è la vita che gli piace ed è il sentimento più forte che sente. I pecorai dicono che se un giorno avesse una donna tutta per sé dovrebbe forse tirarsela dietro per il tratturo. Egli sa che la vecchiaia comincerà proprio il giorno in cui si dovrà rinunziare a dirigere le morre e starsene tra le mura di una casa ad aspettare che il tempo della vita si consumi.” (da F.Ciampitti, Il tratturo)

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