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necessità della natura

Sentiero Italia : Da Campitello Matese (gps 41.462324, 14.392281) a San Potito Sannitico (41.33737, 14.39248)

Lunghezza del percorso km 24; guadagno/perdita in elevazione 600 / – 1.800 metri; quota massima: 1.580 metri, quota minima 180 metri.

Centri attraversati: San Gregorio Matese, Castello del Matese, Piedimonte Matese

Pernotto e cena: B&B Il Ruscello (392 112 4593)

14 settembre. La partenza è accompagnata dalla splendida visione della maestosità di Monte Miletto che mi segue col suo sguardo lungo tutta la piana di Campitello, attraversata con calma, sia per far riscaldare gradualmente il corpo, ma anche per serbare ogni attimo di questo meraviglioso spettacolo.

Comincio a salire per raggiungere il passo in prossimità di Colle del Monaco da dove inizia una lunga discesa verso il lago del Matese con oltre 500 metri di dislivello. Il grande lago si annuncia con una nube che sembra un gigantesco batuffolo di cotone poggiato in un anfiteatro di montagne. Nella prima fase la discesa è abbastanza agevole ma avvicinandosi al lago ci sono dei tratti scoscesi che costringono il sentiero a zigzagare sul fianco della montagna.

Proprio lungo uno di questi tornanti mi imbatto con un gregge di pecore al pascolo accompagnato dagli immancabili cani pastore che già qualche minuto prima che io avvistassi il gregge avevano avvertito la mia presenza abbaiando e venendomi incontro. Come si fa in questi casi ci si mantiene alla debita distanza e si procede cercando vie alternative. Io però mi trovo sul fianco scosceso di una montagna, su un sentierino col fondo di sfasciumi dove devo prestare costante attenzione per mantenere un precario equilibrio. Non me la sento di tagliare i tornanti per scendere a valle, sia per la ripidità della discesa ma anche per non allontanarmi dalla traccia del percorso. Provo così a far spostare il gregge dal sentiero che dovrei percorrere lanciando qualche pietra. Niente. Decido di sparare un petardo per spaventare il gregge sperando che si muova. Si muove di qualche decina di metri posizionandosi più avanti ma sempre lungo il sentiero. Avanzo, così, cautamente per vedere la reazione dei cani. Ad un certo punto sento un abbaio sopra la mia testa, a monte. Riesco a vedere un grosso cane nero all’ombra di un albero – è un cane con atteggiamenti da umano – che si è posto in piedi e mi guarda. Capisco che è il capo, quello che è sempre dietro o sopra il gregge ed ha il controllo totale della situazione. Quello che che chiamano il cane cattivo nel senso che è disposto a tutto pur di difendere il gregge. Non ha paura di nulla. Col suo sguardo mi ha avvertito di non avvicinarmi alle pecore. Anche io lo guardo di sbieco per non dargli un messaggio di aggressività e gli faccio intendere che ho capito. Mi fermo e aspetto che il gregge si sposti. Questa trattativa dura circa un’ora in cui son dovuto starmene lontano, fermo, sotto il sole nell’attesa che il gregge sloggiasse per poter passare.

Se avessi avuto una pistola, due colpi e il problema si sarebbe subito risolto. La capacità tecnica dell’uomo sarebbe riuscita ad aver la meglio sulla rigidità del comportamento animale che non capiva che a me del gregge non fregava niente, volevo solo passare per continuare il mio cammino.

La natura è retta da leggi immutabili, è governata dalla necessità. Le sue leggi possono essere innocenti e crudeli (la vita avviene sempre a scapito di altre vite), ma sono inflessibili. Il comportamento di quel cane era necessitato: io ero un potenziale pericolo; se mi fossi avvicinato sarei stato attaccato. Non ci sarebbero stati mezzi termini. L’uomo con la tecnica pretende di modificare la necessità: ma la tecnica è davvero più forte delle leggi della natura? Gli antiche greci ritenevano di no. Anzi loro recepivano dalla natura quelle leggi che avrebbero dovuto governare se stessi e la città. La necessità è quel limite che l’uomo dovrebbe sempre tenere a mente per far sì che in quel breve tempo che ha da vivere possa reggere al dolore e cercare la felicità.

Arrivo finalmente al lago che con la sua bellezza mi risarcisce del tempo perso a risolvere il mio problema con i cani. Di qui comincio a salire in una faggeta che, dopo l’aridità delle montagne percorse, mi dà una sensazione di incanto amplificata dal silenzio surreale.

Alla fine della faggeta raggiungo un passo da cui parte, in discesa, un’antica e lunga mulattiera gradinata ed in parte lastricata. Centinaia di gradoni che, mettendo a dura prova le ginocchia, affronto con lentezza, appoggiando, su ogni gradone, il piede con calma e cura come se fosse l’unico scalino da scendere. Un esercizio di costante concentrazione sul particolare per non dileguarlo nell’indistinto. Una pratica che non solo preserva le ginocchia, ma allena l’intensità dello sguardo a svantaggio dell’estensione superficiale, ti concentra sulla piccola parte in cui vedi il tutto.

Giungo così a San Gregorio Matese e poi con una strada brecciata secondaria al piccolo e delizioso borgo di Castello del Matese. Di qui parte il cosiddetto sentiero del Purgatorio che mi fa scendere a Piedimonte Matese. Seguendo la strada asfaltata giungo alla meta della tappa di oggi, San Potito Sannitico.

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